Pausania, approdato a Delfi durante il suo Viaggio in Grecia (Periegesi), citando un famoso dipinto che ritrae la discesa di Ulisse nell’Ade, descrive la vicenda di due sventurate ragazze “coronate di fiori e intente al gioco degli astragali”. Insieme al racconto degli agoni per i funerali di Patroclo, che leggiamo nell’Iliade di Omero, questa è la più antica testimonianza dell’uso degli aliossi della tradizione popolare come strumento di gioco.

Gli astragali sono degli ossicini di forma cubica che raccordano la zampa posteriore allo zoccolo di ruminanti e suini, andando così a costituire l’articolazione del tarso. Quelli degli animali di piccola taglia, in particolare, si prestano alla manipolazione ed è più facile forarli o incidervi segni dal particolare significato semantico.

Negli scavi archeologici vengono in genere ritrovati presso i luoghi di culto, i depositi votivi e nelle tombe, cosa che colloca questi reperti in una posizione intermedia tra la sfera del sacro e quella del profano.

I meccanismi di gioco stessi, suggeriti dallo studio delle usure e delle modificazioni superficiali subite dagli ossicini contestualmente al loro utilizzo, sono imperniati sulle combinazioni del caso, che ben si prestano anche a letture oracolari. Le estremità delle carcasse animali, di scarsa importanza alimentare, venivano infatti bruciate e dedicate alle divinità durante i riti, mentre gli ossi, una volta consumate le parti molli, restavano ad appannaggio della casta sacerdotale come memoria del sacrificio o per ottenere responsi.

Altresì, sulla base della disponibilità di determinati capi di bestiame nell’economia familiare, gli astragali potevano diventare giochi alla portata di ogni bambino. Anzi, con ogni probabilità la funzione meramente ludica degli astragali ha rappresentato uno sviluppo successivo di complesse pratiche divinatorie. Non è escluso poi che la doppia valenza di questi ossicini li abbia visti fungere anche da amuleti.

Gli antichi Romani si divertivano lanciando 4 astragali in aria e lasciandoli cadere a terra. La combinazione più ambita era il colpo di Venere: in questa fortunata circostanza ogni ossicino cadeva su una faccia diversa rispetto a quella degli altri, permettendo così di totalizzare ben 40 punti e assicurando poteri scaramantici al giocatore di turno. Oppure lanciavano 5 astragali con il palmo della mano cercando di farli ricadere tutti sul dorso. Infine gli astragali funzionavano benissimo anche come dadi: su di essi si contano 6 facce e, in relazione alle loro sporgenze o alle loro concavità, ciascuna faccia poteva assumere un valore numerico differente. Dato il largo e variegato uso che ne facevano, i Romani arrivarono anche a riprodurre gli astragali in altri materiali, talvolta preziosi.

Ancora tanti bambini di oggi in diverse parti del mondo continuano a divertirsi alla maniera dei Romani. Non si è mai smesso di giocare agli aliossi, lo possono confermare generazioni e generazioni di avi.

Quando ritrovati in contesti di abitato, soprattutto protostorici, gli astragali sono interpretati da alcuni archeologi come pesi (quelli bovini), come pesi da telaio, ma anche come lisciatoi per vasellame ceramico.

 

Testo: Chiara Reggio – Copywriter e Archeologa

 

Fonti:

– De Grossi Mazzorin J., Minniti C. (2012), “L’uso degli astragali nell’antichità tra ludo e divinazione” in De Grossi Mazzorin J., Saccà D., Tozzi C. (a cura di) Atti del 6° Convegno Nazionale di Archeozoologia, S. Romano in Garfagnana – Lucca, 21-24 maggio 2009, pp. 213-220

– De’ Siena S. (2010), Facciamo i giochi dei Greci e dei Romani, Mucchi Editore, pp. 29-39

– Grabundzija A., Ulanowska A. (2016), “Bones for the loom. Weaving experiment with astragali weights” in Prilozi. Instituta za arheologiju u Zagrebu 33, pp. 287-311

– Mărgărit M. (2017), “Spatulas and abraded astragalus: two types of tools used to process ceramics? Examples for the Romanian prehistory” in Quaternary International 438, pp. 201-211

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